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Orologi e sostenibilità – parte seconda

Nello scorso articolo, abbiamo visto come il green in orologeria abbia poco senso sul piano del marketing e su quello della produzione. Qui analizziamo altri due aspetti, quello ambientale e quello etico, e traiamo le nostre conclusioni.

Il green in orologeria: ha senso ambientale?

L’orologio meccanico è per sua natura un prodotto non inquinante. Non si butta via un orologio meccanico, lo si ripara. Non finisce in discarica, e se anche così accadesse, in ragione della non convenienza nel ripararlo – merito però dei produttori come Seiko e Orient, che riescono a far costare un orologio nuovo come o meno di una revisione, la quale ha un costo incomprimibile – non sarebbe la fine del mondo: l’orologio si può riciclare. Un segnatempo è realizzato in metallo e corindone sintetico, detto anche vetro zaffiro; il primo si fonde, il secondo si trita e diventa un abrasivo industriale. Persino il vetro plexi ultimamente si ricicla, anche se con difficoltà legate ai costi. Il vetro minerale è solo vetro normale trattato chimicamente, quindi riciclabile un numero indefinito di volte – sempre che questo abbia senso economico, essendo il silicio l’elemento più abbondante della Terra, ma questo è un altro discorso -.

Il green in orologeria: ha senso etico?

Utilizzare materie prime riciclate o estratte in modo etico è poco impattante, nel complesso del sistema di estrazione e trasformazione delle risorse. Facciamo un esempio concreto. Rolex, che è una grande Casa orologiera – tra le maggiori al mondo -, produce ogni anno meno di un milione di orologi. Supponendo che pesino circa un etto e mezzo ciascuno, parliamo di 150 tonnellate di metallo annuo. Pari al peso di cento SUV di media dimensione.

In altre parole, una Casa automobilistica come Volkswagen utilizza, nel corso di una giornata di produzione di un modello di successo come la Tiguan, oltre dieci volte il metallo impiegato da Rolex in un anno di produzione orologiera. Non parliamo poi di Case con numeri minori, seppur di grande qualità, come Patek Philippe… E l’industria automobilistica è solo una piccola parte del consumo di metallo nell’economia occidentale: potremmo parlare del settore edilizio, di quello estrattivo…. Insomma, è vero che il mare è fatto di gocce, ma la goccia dell’industria orologiera è davvero minima, nel grande oceano delle materie prime.

Dunque perché il green in orologeria?

Il primo motivo dietro le scelte di un’azienda dovrebbe essere quello economico, ma, dal momento che oggi come oggi l’Occidente ha subordinato la propria economia al settore finanziario, è abbastanza naturale che le scelte dei grandi gruppi seguano logiche non tanto di profitto, quanto di appetibilità finanziaria.

Detto in altri termini, i maggiori investitori speculativi al mondo, Black Rock in testa, hanno indicato il green come la via da perseguire in futuro. In assenza di un contraltare politico – la deregulation ha fatto sì che i decisori politici, sempre in Occidente, pesino ben poco nell’economia – la via è tracciata: chi vuol continuare a ricevere copertura finanziaria e ad avere successo nelle borse, deve fare dell’ecosostenibilità una parte centrale della propria offerta di prodotti e servizi.

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